Unitalsi Calabrese 11 febbraio: “La sofferenza ci rende uguali”

Una vita accanto a ultimi e malati Il presidente della Sezione Calabrese Unitalsi Lombardo Trapani, racconta il servizio in occasione della Giornata Mondiale del Malato. Con una vita intera dedicata all’assistenza dei malati, ci ha raccontato cosa significhi stare accanto a chi soffre, l’importanza dell’ascolto, il ruolo fondamentale della famiglia e il rapporto tra fede e scienza medica nella cura della persona.

Lei ha vissuto una vita intera stando accanto ai malati. Cosa ha imparato da loro?
Vedere nelle persone che ti stanno accanto la sofferenza ti insegna, come prima cosa, la fragilità ta e dell essere umano; ti mostra, perciò, le limitazioni della tua persona ed elimina eventuali deliri di onnipotenza. Ti fa vedere che di fronte a te hai un individuo che, pur avendo la tua stessa identica identità di persona umana, è costretto a rivolgersi a te per un suo stato di necessità. Devi, perciò, pensare che il rispetto della persona umana prescinde dal bisogno e dallo stato di salute o sociale. La malattia, il bisogno e la necessità ci rendono tutti uguali, e tutti devono essere rispettati e trattati nel medesimo modo, con le stesse attenzioni e il medesimo rispetto. In questo ho avuto la fortuna di avere un grande maestro: il professore Alberto Neri, uomo di grandissima cultura e capacità professionale, ma anche di doti umane e relazionali non comuni.

Quali sono le attenzioni da porre per poter servire nel modo adeguato le persone sofferenti?
La persona in difficoltà ha, prima di tutto, la necessità di sentirsi accolta e ascoltata. L’ascolto dei problemi è sicuramente la parte relazionale che necessita di maggiore cura. L’attenzione ai problemi e alle situazioni esposte è fondamentale: si può interrompere il paziente per chiedere chiarimenti, approfondimenti o delucidazioni su un sintomo o un episodio, ma mai per raccontare proprie esperienze e chiudere così le possibilità di parlare, dando l’impressione di avere già compreso tutto. L’ascolto spesso va facilitato con attenzioni che mettono la persona a suo agio (sorriso, carezza); va stabilito con il paziente un rapporto di sincero interesse, mantenendo un rapporto paritario. L’interesse, spesso, deve comprendere, ovviamente senza invadere la privacy dell’individuo, anche il suo mondo familiare e sociale, se il suo malessere può essere legato a fattori ambientali più che fisici e/o organici. L’approccio deve mirare a mettere a suo agio il malato: mai avere fretta, guardare l’orologio o dare la sensazione di essere lì per dovere.

Il supporto della famiglia, soprattutto nel caso di malattie terminali, è cruciale. Come stare accanto a coloro che soffrono per la malattia di un loro congiunto?
Curare il rapporto con il caregiver, ovvero il parente, l’amico o la persona che si occupa del malato terminale o non autosufficiente, è altrettanto importante. Il primo approccio, dopo l’ascolto, è capire il grado di consapevolezza della gravità del paziente assistito e, se non adeguato al caso, avviare un percorso di accettazione della situazione. Molti vivono momenti di grande sofferenza per il legame che li unisce al malato terminale: questo spesso impedisce l’accettazione tua azione e determina una solitudine profonda, un senso mento. Affiancare e garantire un supporto psicologico è spesso indispensabile. Inoltre, vanno garantiti spazi di interesse personale: l’assistenza quotidiana, 24 ore su 24, è estremamente impegnativa sia da un punto di vista fisico che mentale. Per evitare il burnocut vanno previsti momenti di pausa e di distrazione.

Gli operatori sanitari, sempre più sovraccaricati di lavoro, devono comunque mantenere un contatto umano con i degenti.Cosa significa lavorare tra le corsie di un ospedale?
L’assistenza ospedaliera è, attualmente, problematica: la carenza di personale medico e infermieristico determina gravi disagi nella cura quotidiana. L’organizzazione e l’impegno finanziario istituzionale sono, purtroppo, assolutamente inadeguati alle necessità. Inoltre, da molti anni, l’ospedale, così come tutte le strutture sanitarie, è considerato un azienda, cioè deve rendere un profitto. Ma quale profitto si può trarre dalle corsie di un ospedale o da un paziente ricoverato in Rianimazione? Come si fa a quantificare il fatturato di un reparto di oncologia o di chirurgia generale? Come si fa a stabilire la durata massima di una determinata terapia per tutti i pazienti? Queste sono alcune domande da porre a chi governa la sanità senza conoscerne i problemi. Ovviamente, quando si deve contrarre la spesa sanitaria, la prima attenzione è rivolta alla spesa per il personale, laddove i politici, negli anni passati, hanno largheggiato nell’assunzione di personale non qualificato. Questo comporta che il personale professionalmente preparato sia in continua e perenne sofferenza, con gravissime difficoltà nell’assistenza. Nonostante tutto ciò, ritengo che lo sforzo di stabilire un rapporto umano con il malato sia fondamentale: deve essere prioritario o quanto meno paritario rispetto all’impegno professionale.

La fede e la scienza medica hanno punti di contatto? Lei come ha vissuto il suo percorso di fede da medico credente? Ritengo che la fede e la scienza medica non solo abbiano punti di contatto, ma che mai, se vissute in modo corretto, possano entrare in contrasto. Dio ha creato l’uomo e il più grande dono che ci ha fatto è la capacità intellettiva, ovvero la possibilità di impiegare il nostro potenziale cerebrale e ideativo per comprendere tutto ciò che ci circonda, concedendoci di poterlo utilizzare per il Suo bene. Tutto ciò che riguarda l’uomo, la sua salute, il suo benessere, la sua persona e la sua salvezza sta a cuore a Dio, che per noi ha sacrificato Suo Figlio. La fede mi ha sempre accompagnato e sostenuto quando la scienza medica ha mostrato i suoi limiti, soprattutto in particolari ambienti com el Hospice. Ho visto come, spesso, la fede abbia consentito a molte persone di trovare una serenità nei momenti di maggiore sofferenza e angoscia, una serenità che solo la perdita di coscienza farmacologica avrebbe potuto garantire.

di Davide Imeneo – Avvenire di Calabria 


Pubblicato il 10 Febbraio 2025