“Andate a dire che si venga qui in pellegrinaggio”: questo il messaggio della Vergine Maria in occasione della terza apparizione a Bernadette nella grotta di Lourdes. Anche noi, ragazzi del gruppo Giovani della Collaborazione pastorale di Ponzano, abbiamo deciso di accogliere questo invito, di rimboccarci le maniche e metterci in viaggio verso Lourdes con l’Unitalsi.
Le aspettative erano tante, ma nessuna di queste si è rivelata all’altezza dell’esperienza che abbiamo vissuto. Pensavamo che avremmo solamente spinto carrozzine, invece, abbiamo accompagnato persone verso un sogno; pensavamo che avremmo solo servito il pranzo, invece abbiamo ascoltato le quotidiane gioie e sofferenze di tanti anziani e malati. Lourdes, infatti, non è solo un luogo fisico, non è soltanto un paesino sperduto in mezzo alle montagne, e non è nemmeno la straordinaria architettura del santuario. Lourdes è, prima di tutto, un’esperienza fatta di presenza: quella degli ammalati, quella dei volontari, quella dei pellegrini, quella dei curiosi che partono insieme, alla ricerca di Qualcuno o di qualcosa.
Il tempo passato lì, scandito dalle celebrazioni e dai servizi giornalieri, sembra scorrere diversamente. Anzi, forse sarebbe meglio dire che a Lourdes vi sono due tempi: “Un tempo per tacere e un tempo per parlare” (Qo 3, 7). Il tempo per tacere è quello della contemplazione, necessaria per cogliere ciò che è fisicamente inudibile, il tempo dell’ascolto silenzioso dei più fragili che talvolta, con un semplice gesto, riescono ad abbattere le nostre barriere, il tempo della riflessione introspettiva, per scoprire un nuovo tassello di noi stessi. Il tempo per parlare, invece, è quello della preghiera pronunciata ad alta voce, del canto intonato all’unisono, del dialogo con persone che ci pare di conoscere da sempre, tanto è lo spirito di fratellanza che unisce chi condivide questo pellegrinaggio.
Spesso, in questi giorni, ci è stato chiesto: “Ma perché sei venuto qui a Lourdes?”. Trovare una risposta comune sarebbe pressoché impossibile, perché ciascuno si sente chiamato per motivi diversi. Però, potremmo dire che l’esperienza a Lourdes ruota attorno a tre dimensioni principali, che ti segnano nel profondo e ti fanno tornare a casa con la sensazione di essere cambiato. La prima dimensione è sicuramente la cura verso gli ammalati. Da questo punto di vista, Lourdes appare quasi come un mondo al contrario: tutte le persone che normalmente nella società sono più emarginate, o addirittura abbandonate a loro stesse, in questo luogo sacro vengono messe al centro e i volontari di ogni nazionalità accorrono ad aiutarle, a farle sentire meno sole. Questa attenzione nei confronti dell’altro dà speranza in un mondo come il nostro che sembra dominato dall’egoismo e dall’individualismo. Sempre quest’ottica di servizio ci insegna a guardare l’altro con occhi d’amore, ad andare oltre le apparenze e a scoprire che ciascuno di noi è un dono di Dio, anche se esso talvolta può celarsi dentro un corpo infermo o affaticato.
La seconda dimensione è quella ecclesiale, che ci fa sentire parte di una Chiesa universale, in grado di superare qualsiasi confine linguistico e culturale. Il pregare insieme, come durante la messa internazionale, ci ha fatto riflettere sull’importanza della pace che viene chiesta a gran voce per i Paesi attualmente in guerra e che può essere veramente raggiunta partendo dal sentirci una comunità, unita nella fratellanza e fondata sull’amore sincero verso il prossimo.
L’ultima dimensione è l’esperienza più personale, il dialogo raccolto e silenzioso con noi stessi e con Dio, che Lourdes è in grado di suscitare. È quest’ultimo livello che, con l’aiuto dei primi due, ci ha permesso di sostare, scavarci dentro e cambiare prospettiva di fronte alle prove che la vita ci pone. Non è sempre facile lasciarsi provocare dalle domande, e non è facile nemmeno darsi il tempo per cercare delle risposte, però questa esperienza è stata come una boccata d’aria fresca che ci ha permesso di respirare profondamente e di trovare uno spazio per noi e il nostro cammino di fede.
A Lourdes, come nella vita, non è necessario essere medici o infermieri per prendersi cura di una persona con un corpo un po’ più fragile del nostro. Bastano dolcezza, ascolto e un po’ di riposo notturno per affrontare il giorno seguente con entusiasmo e regalare (e ricevere) un sorriso o una parola d’affetto.
Pubblicato il 12 Settembre 2024