A Ragusa “Per una gioia eterna” incontro degli animatori di pellegrinaggio

Gli animatori di pellegrinaggio della Sicilia Orientale proseguono il cammino iniziato ad Assisi
Apostoli della sofferenza sull’esempio di Bernadette

Da Assisi a Ragusa, in ideale continuità di obiettivi, gli animatori di pellegrinaggio della Sezione Sicilia Orientale hanno proseguito l’attività formativa, ospiti della sottosezione iblea. Assisi, ultimo di un cammino pluriennale, ha dato una consegna chiara: se il pellegrinaggio è sintesi dell’esperienza di fede, allora gli animatori di pellegrinaggio sono persone che vivono e aiutano a scoprire o riscoprire l’esperienza genuina della fede. L’efficacia di questo servizio può misurarsi esclusivamente nell’adesione a Gesù, verso cui Maria ci prepara e ci introduce, in un contesto associativo nel quale ci lasciamo docilmente e reciprocamente interrogare e guarire dalla Parola.

Per una gioia eterna” il tema dell’incontro, in perfetta adesione al tema annuale. Quattro le piste di riflessione. “L’esperienza del dolore di fronte a Dio” la prima, lungo la quale Don Cesare Geroldi SJ ha condotto gli animatori, per ripercorrere l’esperienza di Giobbe. Giobbe, uomo retto, uomo che ha relazione con Dio, diviene infelice per una serie inenarrabile di disgrazie e grida contro Dio, maledicendo il giorno della sua nascita. Dio riconosce la legittimità dell’urlo di Giobbe. Aiutando con la meditazione ad immedesimarsi nella vicenda del patriarca, il relatore mostra Dio che crede negli uomini, i quali, anche dentro l’esperienza del dolore, possono rimanere uniti a Lui. Dio, “il cui orecchio va all’ingiù”, che si piega ad ascoltare, che “si ricorda della sua alleanza” come fu per la storia di dolore del popolo Israelita. Dio che c’è ed ascolta, Dio che abita il dolore.

Agli animatori intervenuti Don Cesare ha ridato anima: “Solo dal contatto diretto con Dio, chi soffre può trovare, non la soluzione, ma il senso, perché il dolore è già di Dio e chi soffre non è solo”. L’esperienza del dolore era di Bernadette. Questa la seconda pista di riflessione dettata da Carmelo Ferraro. La sofferenza di Bernadette nasce nella quotidianità della famiglia Soubirous e non già dalle apparizioni. Bernadette vive la sofferenza nel suo corpo, nelle condizioni della sua casa e nelle vicende della famiglia, nella negativa considerazione che i paesani avevano per lei. La vive nel silenzio e in una realtà immersa nella preghiera. La Vergine la prepara proprio col silenzio e con semplici gesti, la svuota, la fa essere nullaper riempirla del suo messaggio e totalmente di Gesù, in un dialogo cuore a cuore: “Mi sembra che il suono delle parole arrivino qui” dice Bernadette al suo confessore, portando la mano sul petto. Anche a Nevers – completa Ferraro – continua la sofferenza di Bernadette e l’abbraccio del dolore: “O Gesù voi mi volete crocifissa, Io soffro e vi amo” scriverà; e definirà il letto “la mia cappella bianca”. Il martirio nascosto di Bernadette ci porta nel cuore del mistero di Lourdes dove la veggente si offre come vittima per i peccatori, gli ammalati, il Papa, la Chiesa.

A queste carezze dello spirito ha fatto eco, nella terza pista di riflessione, Giuseppe Torrisi, vicepresidente della Sezione, disegnando l’animatore nelpellegrinaggio. Egli ha tracciato con la semplicità che lo distingue, l’impegno dell’animatore di pellegrinaggio (e non solo dei pellegrini!): coniugare e completare il ciclo dell’amore. Dall’adesione personale a Cristo, “abbracciare la croce” alla missione di testimoniare la fede “tutto ciò che avete fatto al più piccolo di questi lo avete fatto a me”. L’efficacia del nostro servizio – ha sottolineato Torrisi – è certo regolata da disposizioni organizzative ma si misura con la regola del cuore, della disponibilità e della responsabilità senza limiti.

L’ampio dibattito e il confronto esperienziale che ne è seguito hanno evidenziato la presa di coscienza degli animatori di pellegrinaggio; più verso un’intuizione nuova, quella di essere lievito, che nell’ottica di un compito assegnato durante i giorni del pellegrinaggio. E altrettanto chiara sembra essere la consapevolezza che la dimensione associativa dell’Unitalsi, rende possibile la conversione a Cristo e l’apostolato più facilmente rispetto a percorsi individuali; da qui la responsabilità verso ogni articolazione dell’Associazione, struttura stabile che prolunga nel tempo e nello spazio l’esperienza della salvezza.  Ah dimenticavo, la quarta pista. Di essa non so dare resoconto, perché è stato un cammino recondito che ciascuno ha percorso interiorizzando parole senza suono, durante l’adorazione eucaristica.

Emanuele Occhipinti

Pubblicato il 11 Aprile 2019