Emiliano Romagnola: il racconto di un viaggio sulle Dolomiti

LA CORDA E IL CUSCINO

“Voi che t’ammazzo co’ la corda o cor cuscino?”

E’ il saluto entusiasta di una volontaria nei confronti dell’organizzatore dopo la prima esperienza di una salita a spingere una carrozzina. Il suo accento di una travolgente simpatia tradisce la provenienza romanesca. Lei fa parte del drappello di unitalsiani ‘extracomunitari’ che si sono uniti al gruppo dell’Emilia Romagna nell’ultima edizione di Dolomitalsi, la tradizionale vacanzina in montagna accessibile a tutti, per esplorare la possibilità di replicare l’esperienza nella propria sottosezione.

Erano tanti i nuovi quest’anno: singoli, coppie, famiglie e amici, ognuno con lo zaino pieno della propria storia. Le vie della Provvidenza, attraverso i tentacoli di Internet, avevano misteriosamente avvicinato al gruppo storico altre provenienze, persino dalla Reggio del sud, e avevano raddoppiato il numero solito dei partecipanti. Le incognite erano davvero molte: nuovo l’albergo, nuove le varie destinazioni, nuove le patologie. Insieme alle incognite erano dunque tante le ansie di chi aveva organizzato ed anche i dubbi degli habituè che temevano si potesse disperdere il clima di calda amicizia delle edizioni precedenti. Niente di tutto questo.

“Non abbiamo che pochi pani

Appena prima della partenza scatta sempre il delirio. Dispiace lasciare a casa chi si vorrebbe aggiungere all’ultimo: allora ricombini tutta l’organizzazione. Appena tutto quadra, qualcuno si ritira e poi improvvisamente alcuni dei mezzi previsti non sono più disponibili… tutto da rifare! Eppure avrei dovuto saperlo. Ce lo aveva già mostrato quando sembrava non ci fosse quasi nulla da mangiare: basta condividere il poco che si ha e, dopo la benedizione, ce n’è per tutti. Anzi per la verità ci sono voluti 3 giorni per finire il pranzo del primo giorno, preparato con la premurosa cura di una mamma. E ciascuno ha avuto il proprio posto sui pulmini.

“La Signora ha sorriso.”

Certo occorre tirare fuori dalla bisaccia gli ingredienti necessari, incomincia uno e gli altri lo imitano con abbondanza. Questa vacanza non è pensata per stare chiusi in uno dei luoghi specializzati per i disabili: si sta tra i “normali” in ambienti che altri frequentano e ci si sposta tutti i giorni. Non è facile. Dalla bisaccia serve estrarre la passione e l’esperienza per la ricerca degli itinerari giusti e serve estrarre lo spirito di adattamento necessario. Serve chi accoglie un gruppo ingombrante che con le sue ruote danneggia gli arredi. Serve preparare la preghiera e i canti. Serve la pazienza e la competenza di stare lungamente accanto all’altro. Serve chi canta a squarciagola. Serve il buffet e il tagliere di salumi, l’aria lucida e una terra benedetta dalla Bellezza. Ma serve soprattutto il sorriso avvolgente e contagioso che Bernadette ha visto e che noi abbiamo la fortuna di conoscere bene.

La prima volta in hotel.

E’ questo sorriso che ci raggiunge e mi commuove. Sorridono gli occhi che si accolgono a vicenda: tutti sono immediatamente a casa propria. Che grande privilegio potere chiamare amici questi compagni di strada! In realtà i nuovi non ci sono mai stati: fin dalla prima tappa in santuario (Nostra Signora di Lourdes a Verona) c’è stata solo una famiglia un po’ grandina. Lo dimostra il fatto che non ci si è accorti delle tante “prima volta” di qualcuno, forse neanche i protagonisti di queste “prima volta” se ne sono resi conto. No, pensandoci meglio forse è il contrario. Forse il segreto è che ogni minuto condiviso è stata una prima volta per tutti.

di Angelo Torelli

 

  


Pubblicato il 7 Luglio 2022