Avvenire: con i malati, davanti alla Grotta. “Lourdes è una scuola di vita”.

Tra i 700 che sono partiti dal Veneto, insieme al Patriarca Moraglia e al vescovo Tomasi, si mischiano storie di sofferenza personale, percorsi di grande fede, cammini di accompagnamento e fiducia.

C’è una domanda di salvezza più forte ancora di quella, umanissima, di salute, tra chi giorno e notte affolla la Grotta di Massabielle, a Lourdes, ai piedi dei Pirenei, dove nel 1858 la Madonna apparve a Bernadette Soubirous. In 700 sono partiti dal Veneto per un pellegrinaggio promosso dall’Unitalsi Venezia Triveneta Aziendali con Treviso e Rovigo, che si è inserito a pieno titolo nell’anno giubilare dedicato alla speranza. Cinquecento hanno viaggiato in treno, altri duecento in aereo dal Marco Polo di Tessera fino all’aeroporto di Tarbes. Tra loro c’erano il Patriarca di Venezia Francesco Moraglia e il Vescovo di Treviso Michele Tomasi.

Il gruppo era composto da 110 malati, una trentina accolti nello scompartimento attrezzato chiamato “barellata”; 83 barellieri e 128 sorelle; 16 sacerdoti; 13 medici; 211 pellegrini. A pregare la Vergine, per la cui intercessione la Chiesa ha riconosciuto diversi miracoli, sono andate tante persone segnate nella vita dalla sofferenza. Tante storie da ascoltare e raccontare.

Elisabetta Schievano, 51 anni, malata di Sla, è arrivata da Cavasagra di Vedelago col marito Loris Tagliapietra che ha lasciato il lavoro per accudirla e con cui ha voluto convolare a nozze dopo una delle più gravi crisi respiratorie che l’ha colpita. Nadia Donà, stessa età, di Treviso, ha la spina bifida che sin dalla nascita la costringe in carrozzina. Barbara Smith, coetanea pure lei, abita a Badia Polesine: dopo alcune ischemie, la sua vita è cambiata il 16 novembre 2020 quando in un incidente stradale ha perso il suo bambino di cinque anni. Fulvio Zecchinato, 57 anni, di Mestre, da vent’anni combatte contro un tumore cerebrale inizialmente scambiato per depressione. Cristina Loreggia, 53, sempre di Mestre, convive con la sclerosi multipla e una malattia del sistema nervoso periferico degenerativa. E ancora: Fabrizio Pennacchio, di Zone (Brescia), 34 anni, non ha mai potuto vedere. Manuel Pavan, 50, è paraplegico. Silvia Bonfatti, 46 di Stellata di Ferrara, ha una mielite che le impedisce di camminare senza usare il deambulatore. Emanuela Ferro, di Treviso, sta rinascendo dopo il grave lutto per la morte del marito. Storie di vita che hanno molto da insegnare.

Chi alla prima esperienza, chi con già altri pellegrinaggi alle spalle: tutti, in ogni caso, coinvolti grazie all’invito degli amici dell’Unitalsi, l’associazione che ogni anno compie il piccolo grande miracolo di portare a Lourdes persone spesso costrette a restare a casa o in qualche residenza protetta. «Con un gruppo di amiche abbiamo fondato un coro che cantava per diletto ai matrimoni. Ora che mi sono ammalata, abbiamo fatto e stiamo facendo tantissimi concerti in beneficenza per aiutare chi sta peggio di me. Qui davanti alla Madonna trovo l’essenziale, ciò che conta davvero», dice Elisabetta. «A causa dell’incidente ero in punto di morte. Quando mi sono ripresa ho promesso che, costi quel che costi, ogni anno verrò alla Grotta che per me è diventata respiro di vita», racconta Barbara.

Nadia, che grazie alla cooperativa Solidarietà è diventata maestra di taglio e cucito, era stata in pellegrinaggio già da bambina a Lourdes dove a nove anni aveva fatto la prima Comunione: «Ora vivo nella Comunità Quadrifoglio dove un’amica mi ha invitato a tornare. Qui mi sento a casa, se potessi ci vivrei tutto l’anno, ho trovato amicizie speciali», racconta. Stefania Lorenzetto, insegnante di Mestre, assiste il marito Fulvio costretto alla sedia a rotelle: «Siamo sinceri: vorremmo scappare dalla sofferenza perché non ne possiamo più. Ma qui, finalmente, sentiamo un clima diverso, ci ha colpito come in tanti si mettano a servizio dei più fragili». Cristina è tra i malati autorizzati a fare il bagno con immersione completa nelle acque delle piscine. «Siamo venuti qui con mio marito e i nostri due figli, invitati da un’amica di famiglia. Vedevo Lourdes come una meta lontana, impervia da raggiungere soprattutto nella mia condizione. Pur di venire ho affrontato la paura di volare. La Grotta mi ha conquistato e senza Maria non posso più stare». Davanti alla Madonna concordano nel «chiedere alla Vergine la forza di sopportare il dolore e le fatiche», senza nascondere un po’ di rabbia, comprensibilissima: «Perché tutto questo è successo a me?», ma anche spiazzando per una rara sensibilità: «Eppure che diritto abbiamo noi di stare meglio se c’è anche solo un bambino, una piccola creatura, che sta peggio di noi?».

Il viaggio in treno sembra infinito: trenta ore ad andare e altrettante a tornare, i disagi non mancano. Responsabile della “barellata” è la dottoressa Maria Bernarda Ceccato, medico di medicina generale a Montebelluna. Corre da un malato all’altro, è sempre disponibile, dorme tre ore per notte. Si chiama così non a caso: «Perché mia madre, devota alla Madonna di Lourdes, si scoprì incinta di me dopo essere venuta a chiedere il dono della maternità». «Grazie all’anelito di libertà e al sostegno degli amici dell’Unitalsi, ho realizzato il sogno di andare a vivere da solo», afferma Manuel, commuovendosi. «Non posso vedere nulla, ma qui vedo il dono grande della fede che mi dà conforto e speranza», riassume Fabrizio che lavora come centralinista. «Sono venuta a Lourdes perché un giorno, per caso, ma forse no, mi è capitato in mano il volantino del pellegrinaggio. Non sono io che ho cercato il viaggio, ma il viaggio che ha cercato me», sottolinea Silvia, impiegata in un bar di famiglia, che confida il desiderio di tornare a stare meglio o, almeno, di avere un po’ di sollievo morale.

Emanuela parla scandendo le parole: «Dalla malattia di mio marito si sono sommati una serie di segni dai quali ho avuto conferma della presenza di Maria al mio fianco, ristoro e conforto per me». Il quartier generale dei malati è nella casa-ospedale “Salus Infirmorum” dove molti volontari si prodigano e tanti giovani dimostrano buona volontà. Dentro quei muri la sofferenza è tanta, ma la speranza è come una fiamma di un cero votivo alimentata dalla fede. «Qui le differenze tra sani e malati si annullano – conclude Elisabetta a nome di tutti –. Qui la persona è al centro nella sua unicità. E, soprattutto, si capisce che il dolore, la fatica, la morte stessa sono parte di ogni esistenza. Sono temi spesso nascosti, perché fanno paura, perché non si riesce ad avere risposta in una società, come l’attuale, sempre più individualista ed efficientista. Qui c’è l’amore di Cristo, nello spirito di servizio. Lourdes è una scuola di vita».

di Alvise Sperandio, avvenire.it


Pubblicato il 12 Settembre 2025