Amore e condivisione. Vicini a chi soffre nel corpo e nello spirito

La sofferenza ha varie sfaccettature, da oltre 35 anni in qualità di infermiera, mi confronto quotidianamente con la malattia. Affronto tutto questo in un reparto critico, quello di rianimazione, e nonostante abbia trascorso molti anni a lavorare anche nell’emergenza extra ospedaliera, non mi abituo a vedere vite sospese e lacerate da lesioni fisiche spesso permanenti, causa principalmente di incidenti stradali o sul lavoro.

Non mi abituo ad osservare gli sguardi spaventati, smarriti, di coloro che si svegliano lentamente da un coma farmacologico o patologico con gli occhi che fissano il soffitto del reparto, senza poter parlare a causa dei presidi medici che gli bloccano la parola e limitano i movimenti pur garantendo loro le funzioni vitali: il respiro, il battito cardiaco. Non sanno ciò che gli è successo, non ne hanno consapevolezza. In questi momenti, nel cercare sguardi familiari incontrano quello di noi infermieri che provvediamo a tutto prendendoci cura di loro. Diventa fondamentale dargli conforto. È importante usare un tono di voce rassicurante, saper toccare il loro corpo con tatto e rispetto. Nell’approccio con la fragilità non sono meno importanti le competenze professionali che aiutano la persona malata ad acquisire fiducia nelle cure e ad avere maggiore speranza nel recupero e nella guarigione. Occorre saper dare speranza, supporto a chi sta male ma anche a tutti coloro i quali gravitano attorno alla vita della persona malata perché sono indispensabili nel percorso di cura.


La malattia può portare anche alla morte. In alcuni momenti, però, può diventare occasione di rinascita. È il caso di quanti non ce l hanno fatta ma esprimendo la volontà di donare i propri organi hanno salvato la vita ad altri.
Spesso le famiglie della persona deceduta raccontano di avere trovato «sollievo» dinanzi ad un dono tanto utile, aldilà del loro credo religioso. Ho incrociato la sofferenza anche personalmente quando ho scoperto di soffrire di una malattia oncologica. Ho affrontato e concluso con successo un lungo percorso di terapie durato due anni.

In quei lunghi mesi ho percepito sulla mia pelle e nel mio cuore il peso di una diagnosi dura e cruda, le gravose terapie, la sofferenza di riuscire a sopportare gli effetti collaterali di farmaci salvavita che riducevano le mie energie. Ho provato angustia nell’aver visto soffrire i miei figli, i miei cari e ho constatato con grande amarezza che la malattia ha spaventato e generato blocchi comunicativi fra alcune amicizie, diventando così il pretesto per non starmi vicino nemmeno con una parola di conforto. Tutto questo inizialmente ha generato in me delusione, frustrazione, ma con il tempo ho apprezzato e valorizzato chi è riuscito a starmi accanto. Nel pieno della malattia ho conosciuto persone straordinarie, mi sono avvicinata con maggiore dedizione alla fede cristiana e ho cominciato a frequentare l’Associazione Unitalsi. Solo l’amore e la condivisione aiutano chi soffre ad affrontare qualunque burrasca. Arrabbiarsi e compiangersi non serve, ho capito che bisogna reagire, fidarsi di chi ti cura, ascoltare e constatare che non sei l’unica persona che soffre.

di Patrizia Trevisani, infermiera – Avvenire Bologna 7

Pubblicato il 8 Aprile 2024