San Francesco di Sales. Ruffini: “Ascoltare, prendersi cura della persona per una buona comunicazione”

Si celebra mercoledì 24 gennaio San Francesco Sales, il patrono dei giornalisti e degli operatori delle comunicazioni sociali. Questo appuntamento offre l’occasione per sviluppare alcune riflessioni  sul ruolo dei giornalisti all’interno del variegato mondo della comunicazione. E la riflessione muove proprio dall’esperienza di Francesco di Sales maturata prima nell’attività di studioso e poi nel ministero episcopale come Vescovo di Ginevra. Egli si dedicò al giornalismo e alla stampa una cospicua corrispondenza epistolare con i fedeli della sua diocesi, corrispondenza che veniva altresì stampata e diffusa nel territorio a lui affidato.

 

Per questo proponiamo la riflessione di Paolo Ruffini, Prefetto del Dicastero per la Comunicazione che firma la prefazione al libro della Lev “Comunicare”, che raccoglie i dieci Messaggi di Francesco per la Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali, raccolti dall’Unione Cattolica Stampa Italiana e commentati da giornaliste e giornalisti italiani.

Di seguito una parte della prefazione.

Oggi più che mai comunicare non è solo connettere. In ognuno dei suoi Messaggi per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, Papa Francesco ha ripetuto questo ammonimento, facendone il “filo rosso” del suo magistero.
Connettere non basta. Bisogna prendersi cura. To share e to care.

To share: il mondo della televisione ha ridotto lo share a un numero che misura una massa; a un indice che serve per pesare il valore degli investimenti pubblicitari. Laddove, invece, se c’è una grandezza da misurare è quella della pienezza, della bellezza, di questa condivisione. È una grandezza che sta nella sua unicità.

To care, mi interessa, mi sta a cuore: il mondo di oggi ha quasi cancellato l’idea che ci si possa interessare a qualcosa di diverso dal proprio interesse. Al massimo ci interessa il modo in cui il progresso sembra appagare i nostri desideri.

Siamo così affascinati dal catalogo delle possibilità che la tecnologia della comunicazione digitale squaderna davanti agli occhi di ognuno di noi, che rischiamo di restare alla fine senza parole, senza gesti, senza immagini, senza nulla da comunicare, prigionieri di noi stessi, delle nostre paure, del nostro narcisismo; incarnando il paradosso del massimo della connessione e del minimo della comunicazione; scambiando la forma con il contenuto.

È in questo quadro che si inseriscono i Messaggi di papa Francesco per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. L’ultimo scelto dal Santo Padre per la 58.ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, che si celebrerà nel 2024 è Intelligenza artificiale e sapienza del cuore: per una comunicazione pienamente umana.

«Tutti siamo chiamati a cercare e a dire la verità e a farlo con carità (…) a custodire la lingua dal male (cfr. Sal 34,14)» (Francesco, Messaggio per la LVII Giornata delle Comunicazioni Sociali, 24 gennaio 2023).

Ascoltare è comunque il primo indispensabile ingrediente del dialogo e della buona comunicazione. Non si comunica se non si è prima ascoltato e non si fa buon giornalismo senza la capacità di ascoltare (cfr. Francesco, Messaggio per la LVI Giornata delle Comunicazioni Sociali, 24 gennaio 2022).

Quanto alla tecnologia, certamente essa ci permette oggi cose che erano impensabili solo pochi decenni fa. Ma ci sono – sempre ci saranno – cose che la tecnologia non può sostituire. Come la libertà. Come il miracolo dell’incontro fra le persone. Come la sorpresa dell’inatteso. La conversione. Lo scatto dell’ingegno. L’amore gratuito. Qui è la radice di ogni comunicazione. Per questo la connessione da sola non basta.

Di solito della comunicazione si parla in maniera funzionale.
L’insegnamento della Chiesa è quasi all’opposto.
Ci possono essere marketing, pubblicità, connessione. Ma senza una relazione vera non c’è vera comunicazione.
La stessa ragione della crisi dei media può essere trovata qui.

Le dinamiche dei media e del mondo digitale – ha scritto papa Francesco nella Laudato si’ – «quando diventano onnipresenti, non favoriscono lo sviluppo di una capacità di vivere con sapienza, di pensare in profondità, di amare con generosità. I grandi sapienti del passato, in questo contesto, correrebbero il rischio di vedere soffocata la loro sapienza in mezzo al rumore dispersivo dell’informazione».

Siamo sommersi di informazioni non verificate, senza contesto, senza memoria, senza una lettura consapevole.
Il primato della velocità impedisce spesso il controllo, la verifica, il discernimento. Alimenta la chiacchiera.
In un tempo dove la tecnologia rischia di diventare tecnocrazia dovremmo testimoniare un nuovo umanesimo cristiano, dove la tecnologia è per l’uomo e non contro l’uomo. Il mondo digitale non è fermo, non è immobile. Sta a noi orientarlo verso il bene.
Non sarà un algoritmo a rivelarci il bene. Tocca semmai a noi orientare l’algoritmo al bene.

Anche a questo risponde papa Francesco, quando ci invita a usare l’amore (l’unica cosa preclusa alle macchine e agli algoritmi) come regola anche del modo in cui narrarla, la verità. Il problema che stiamo affrontando è: come si fa a essere accattivanti senza diventare cattivi, come si può generare un’informazione che non degeneri, come si può evitare di essere complici di una falsa interpretazione della realtà? Come si può discernere ciò che è vero da ciò che non lo è, la verità dalla post-verità, gli eventi dagli pseduo-eventi, i fatti dai fattoidi?

Credo che la soluzione stia nel riscoprire l’importanza di essere sulla vita, pienamente presenti, invece che semplicemente in linea. Più volte papa Francesco ha invitato i comunicatori a evitare gli eccessi degli slogan, che invece di mettere in moto il pensiero lo annullano; e a percorrere la strada lunga della comprensione invece di quella breve che pensa di poter trovare subito o i salvatori della patria, capaci di risolvere da soli tutti i problemi, o i capri espiatori su cui scaricare tutte le responsabilità.

Più volte ha messo in guardia dal fidarsi di chi dice le cose a metà, perché disinforma con l’alibi di informare, impedisce di dare un giudizio accurato sulla realtà e induce all’errore. Più volte ha stigmatizzato l’alternanza tra due mali opposti, ugualmente dannosi: l’allarmismo catastrofico e il disimpegno consolatorio, il più grave dei quali è la disinformazione, perché induce all’errore, allo sbaglio; induce a credere solo a una parte della verità.

Ora l’intelligenza artificiale ci sfida. Ma l’intelligenza umana ha una risorsa che la macchina non ha: il cuore, il sentimento.

«La comunicazione è (…) una conquista più umana che tecnologica», ha esordito Francesco nel 2014, con il suo primo Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. E lo ha fatto scegliendo a sorpresa una parabola diversa da quelle solitamente usate per parlare della comunicazione, quella del buon samaritano, perché ci aiuta – ha detto – a pensare il potere della comunicazione in termini di prossimità: «Anche il mondo dei media non può essere alieno dalla cura per l’umanità ed è chiamato a esprimere tenerezza. La rete digitale può essere un luogo ricco di umanità, una rete non di fili ma di persone umane».

In questo inizio c’è già tutto. E c’è soprattutto tra le righe il riconoscimento della comunicazione (e del giornalismo) come missione, come afferma il Messaggio del 2015: «In un mondo dove così spesso si maledice, si parla male, si semina zizzania, si inquina con le chiacchiere (…) benedire anziché maledire, visitare anziché respingere, accogliere anziché combattere è l’unico modo per spezzare la spirale del male, per testimoniare che il bene è sempre possibile».

Sebbene conscio dello straordinario potere della tecnica, e anche della retorica, papa Francesco respinge entrambe le tentazioni: quella tecnocratica e quella propagandistica. «Non è la tecnologia che determina se la comunicazione è autentica o meno, ma il cuore dell’uomo e la sua capacità di usare bene i mezzi a sua disposizione» (Francesco, 8 9 Messaggio per la L Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 24 gennaio 2016).

Non è il marketing il modello della buona comunicazione. Ma la testimonianza di chi sa vedere, di chi sa ascoltare, di chi sa farsi prossimo. Questo è anche il modo migliore di combattere le fake news:

Il miglior antidoto contro le falsità non sono le strategie, ma le persone: persone che, libere dalla bramosia, sono pronte all’ascolto e attraverso la fatica di un dialogo sincero lasciano emergere la verità; persone che, attratte dal bene, si responsabilizzano nell’uso del linguaggio. Se la via d’uscita dal dilagare della disinformazione è la responsabilità, particolarmente coinvolto è chi per ufficio è tenuto ad essere responsabile nell’informare, ovvero il giornalista, custode delle notizie. Egli, nel mondo contemporaneo, non svolge solo un mestiere, ma una vera e propria missione. Ha il compito, nella frenesia delle notizie e nel vortice degli scoop, di ricordare che al centro della notizia non ci sono la velocità nel darla e l’impatto sull’audience, ma le persone. Informare è formare, è avere a che fare con la vita delle persone (Francesco, Messaggio per la LII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 24 gennaio 2018).

Vatican News 


Pubblicato il 23 Gennaio 2024