DON DIANA, MARTIRE PERCHÉ LIBERO

A trent’anni dell’omicidio migliaia di giovani in marcia per le strade di Casal di Principe rinnovano l’impegno per una società libera dalle mafie

«Non c’è bisogno di essere eroi, basterebbe ritrovare il coraggio di avere paura, di fare delle scelte, di denunciare». Diceva così don Peppe Diana, ucciso il 19 marzo di 30 anni fa nella sua chiesa di Casal di Principe perché mostrava che un’esistenza libera e fraterna – lontana dalle logiche antiumane della criminalità organizzata – è possibile. Lo diceva con la sua vita spesa fra i giovani degli scout Agesci, della parrocchia di San Nicola e della scuola (insegnava lettere al liceo del seminario Caracciolo e religione in alcune scuole superiori di Aversa), sempre accanto agli “scartati”, fossero i malati che accompagnava a Lourdes con l’Unitalsi e con gli scout dei Foulard Blanc o i primi immigrati africani del Casertano. Un sacerdote in mezzo alla vita, spontaneo e travolgente, e allo stesso tempo del tutto fedele alla Chiesa che amava, tanto che l’allora vescovo di Aversa monsignor Giovanni Gazza lo aveva scelto come suo segretario.

Oggi migliaia di studenti sfileranno per Casale fino ad arrivare al cimitero, dove è appena stata inaugurata la statua “Don Diana, martire perché libero”. A rendere omaggio al martire anche don Luigi Ciotti, presidente di Libera. E, con un messaggio, papa Francesco si è rivolto direttamente ai giovani «volto bello e limpido di codesta terra: non lasciatevi rubare la speranza, coltivate ideali alti e costruite un futuro diverso con mani non sporche di sangue ma di lavoro onesto, senza cedere a compromessi facili ma illusori, raccogliendo l’eredità spirituale di don Peppe per divenire, a vostra volta, artigiani di pace».

Dal 19 marzo di 30 anni fa tante cose sono cambiate. A guardare a quelle che un tempo erano terre in mano alla camorra, oggi ribattezzate “terre di don Diana”, viene da dire che il martirio del giovane parroco non è stato vano. Perché, come disse il vescovo di Acerra don Antonio Riboldi il giorno dei funerali, «il 19 marzo è morto un prete ma è nato un popolo». Un popolo di cittadini e credenti che hanno scelto da che parte stare. Come i settemila scout che domenica hanno marciato per Casal di Principe dietro allo striscione «Don Peppe Diana compagno di strada». In testa al corteo, fieri e commossi, i fratelli Marisa e Emilio con i nipoti, il sindaco Renato Natale (alla guida del comune anche nel 1994), il testimone oculare dell’omicidio Augusto di Meo, il coordinatore del Comitato don Peppe Diana, Salvatore Cuoci, e i ragazzi del gruppo scout Agesci Casal di Principe, fondato lo scorso anno. Fra loro anche Iolanda, la nipote del sacerdote che porta il nome della nonna, la “mamma Iolanda” che dopo l’uccisione del figlio lottò per mantenerne viva la memoria respingendo calunnie e illazioni.

E in questi giorni il “popolo di don Diana” ricorda anche altri due protagonisti della lotta alla camorra: Valerio Taglione, coordinatore del Comitato don Diana scomparso nel 2020, e don Paolo Dell’Aversana, morto il 16 marzo, alla vigilia delle manifestazioni per il trentennale. Con don Diana, Dell’Aversana fu tra i firmatari del manifesto Per amore del mio popolo, distribuito fuori dalle chiese dopo la Messa di Natale del 1991 con grande fastidio delle cosche. Parroco e rettore del santuario della Madonna di Briano, nonché vicario episcopale della diocesi di Aversa, dopo l’assassinio dell’amico Peppe aveva instancabilmente portato avanti l’impegno contro la camorra. «Ci ha fatto da padre e ci ha accompagnato nel nostro agire, sempre in maniera discreta, ma dispensando consigli utili per rafforzare e radicare la presenza e la cultura antimafia», lo rimpiange il Comitato don Peppe Diana. Ora c’è da rimettersi in marcia, per l’oggi e il domani. «La strada tracciata da don Diana è chiara. Speriamo anche nella beatificazione, ma per noi Peppe è già santo».

Laura Bellomi – famigliacristiana.it

 

Pubblicato il 19 Marzo 2024