“Nei giardini che nessuno sa”

Nella fotografia esistono, come in tutte le cose, delle persone che sanno vedere ed altre che non sanno neanche guardare (Nadar) 

A cosa penso dietro il mirino della fotocamera mentre sto in mezzo alle persone con disabilità?
Difficile rispondere, potrei dire… a nulla, o potrei dire… a tante cose, magari potrei provare intanto a dire cosa provo. Osservo parecchio, e spesso mi pongo delle domande, del tipo… Sono invadente? Sono inadeguato? Eppure ormai sono 11 anni che tra le tante attività fotografiche, svolgo anche questo servizio, e forse dovrei essere abituato alle varie situazioni, ma invece ogni esperienza è sempre diversa, per cui è come se fosse la prima volta. A quel tempo, quando iniziai, scrissi abbastanza sull’argomento, e spiegai anche cosa mi abbia spinto a farlo, una su tutte la sfida di vincere alcune mie paure nel rapportarmi con queste persone e la curiosità di come potessero reagire davanti a una fotocamera. Allora, con delicatezza, quasi in punta di piedi, con il teleobiettivo, andavo a caccia di volti sereni, non sofferenti, non facendo intravedere e quindi capire la fragilità, finché non cominciarono a cercarmi loro, con gli occhi e con i gesti, e fu lì che capii che avrei potuto essere un anello di congiunzione con il mondo “apparentemente normale” ma distaccato, comunicare agli altri il loro essere parte integrante della società, nelle grandi e piccole comunità. Oggi, quindi, cerco tutti quei particolari momenti che sono un insieme di tenerezza, gioia, serenità, amicizia, ma non per forza, in quanto ho capito col tempo che anche scatti “difficili” in situazioni “complicate” vanno mostrati, seppur con la dovuta delicatezza, se non altro per sensibilizzare gli animi più duri e cercare di sollecitare le menti più chiuse che questo non è un mondo a parte, bensì parallelo.

La vita riserva sorprese belle, ma a volte anche drammi davanti ai quali sei impotente; e dunque, come diceva il grande Andrea Camilleri, è tutto compreso nel ticket alla nascita. Per gli occhi di un volontario UNITALSI, potrebbe essere quasi scontato aver visto tutto ormai, ma vi assicuro che non è così. E se è vero che il fotografo è l’unica persona che vede meglio con un occhio che con due, faccio spesso i conti con gli angoli più nascosti, quelli che a tanti sfuggono, trovandomi davanti a attimi in cui il cuore batte più forte, e non so se premere quel pulsante o no. Però è un “servizio” che mi appaga per quanta ricompensa ricevo, attraverso gli abbracci, i volti, e l’amicizia stretta da tante mani, e poi soprattutto attraverso l’ascolto, quelle mille parole spesso non comprensibili, ma che esprimono il loro continuo affetto. GRAZIE,  parola semplice che sono abituato a rivolgere verso tutti coloro che nelle varie attività, o nei lunghi viaggi dei pellegrinaggi, si adoperano affinché questi “Amici Speciali” godano dei frammenti di felicità che le occasioni offrono.

E’ stato così ancora una volta, l’ennesima, ma sempre carica di emozioni e commozione. Spinto dal vento dell’offrirmi al servizio comunicativo, portando a chi è rimasto a casa, la stessa preghiera, lo stesso sguardo alla Grotta di Massabielle, io piccolo, in mezzo a quella platea di gente che porta lì invece la propria sofferenza e che in quel momento viene nascosta dalla semplice gioia di esserci. Infine, c’è una cosa che mi commuove più di tante altre: i ragazzi alla prima esperienza, sono quelli che spargono più carezze e più sorrisi, porgono più mani, spingono più degli altri, animano quel luogo come se non ci fosse un domani ma si promettono di ritornare. Viviamo tempi incerti, e proprio loro invece infondono ancora speranza in un futuro quantomeno più umano e caritatevole. A loro dedico solitamente una particolare attenzione perché lo meritano, perché sono la parte bella e sana di una società sempre più malata. C’è una canzone di Renato Zero che ascolto e riascolto spesso, ed è “Nei giardini che nessuno sa”; parla di fragilità in generale, dove dentro ci metti anche la depressione, la solitudine, oltre alla disabilità fisica e mentale. Un testo dove emerge con evidenza l’affetto e l’amore nei confronti, appunto, di questi soggetti deboli e magari in difficoltà. Sembra una preghiera in cui si specchia il mondo del volontariato, quasi sempre anche nell’impotenza del fare, ma con la volontà della vicinanza.

[…] Ti darei gli occhi miei,
per vedere ciò che non vedi.
L’energia, l’allegria,
per strapparti ancora sorrisi.
Dirti si, sempre si,
e riuscire a farti volare,
dove vuoi, dove sai,
senza più quei pesi sul cuore

Nei giardini che nessuno sa. Si respira l’inutilità. C’è rispetto grande pulizia, è quasi follia. Non sai come è bello stringerti, ritrovarsi qui a difenderti, e vestirti e pettinarti si. E sussurrarti non arrenderti nei giardini che nessuno sa, quanta vita si trascina qua […] Ecco, quando anche senza fotocamera vedo tutto ciò,  mi ricordo di questa canzone, ed in questo estrapolato dall’intero testo, si riflettono tutti i fermo immagine della mia, chiamiamola “missione”, di documentarista, che da quell’ultimo posto defilato, con discrezione, tra uno scatto e una carrozzina, cerco di raccontare la bellezza dei fiori colti in un giardino quasi riservato, che tanti, forse troppi, ancora non conoscono. Eppure in quel giardino, in un mondo che ci appartiene ma che purtroppo oggi gira al contrario, esistono giardinieri che con amore e dedizione se ne prendono cura.

di Pino Curtale, scattocontinuo.wordpress.com


Pubblicato il 9 Ottobre 2025