Unitalsi di Todi a Lourdes sui treni bianchi dell’Unitalsi

Maria Pia Rondolini, 90 anni, testimone dei “viaggi della speranza” dal dopoguerra ad oggi: vi ha partecipato fin da giovanissima e conserva tutte le foto dei pellegrinaggi da allora ad oggi

Unitalsi: che strana parola, pensai quando, per la prima volta l’udii in casa della signora Caporali, dove ho trascorso parte della mia infanzia e tutta l’adolescenza. Mia madre, gravemente ammalata, non poteva prendersi cura di me e di mia fratello Giacomo che, nonostante fosse molto giovane, faceva di tutto per seguirmi con affetto. Più tardi presi compresi il significato della sigla: Unione Nazionale Italiana Trasporto Ammalati a Lourdes e Santuari Internazionali. Una associazione ecclesiale, dunque, di volontariato i cui membri si impegnano ad alleviare le sofferenze di anziani, malati e disabili, tirandoli fuori dalla loro solitudine, per accompagnarli nei pellegrinaggi ai grandi santuari italiani e stranieri”.

Inizia così il racconto di Maria Pia Rondolini, parte attiva fin dal 1941 dell’Unitalsi di Todi e ancora oggi vivida memoria, con i suoi 90 anni, delle esperienze dell’associazione e di tutti i “viaggi della speranza”, ad ognuno dei quali ha sempre partecipato come “dama” addetta all’assistenza ed ognuno dei quali ha documentato con fotografie d’epoca, dal 1941 ad oggi, conservate con cura e sensibilità.

La storia dell’Unitalsi di Todi inizia nel 1941 ad opera della signora Olinda Olivieri Caporali e di sua sorella Olina Olivieri Nobili, veri esempi di umiltà e carità, con la collaborazione delle contessine Camilla ed Angelica Faina e con l’opera di Monsignor Bartocci, assistente regionale. Nel 1942 al pellegrinaggio a Loreto tra i malati che parteciparono c’era anche la madre di Maria Pia, Elvira Marruco, gravemente malata e trasportata in barella. Anche negli anni successivi tornò a Loreto e ottenne una completa guarigione dalla malattia, come attesta un documento del 1948 della Congregazione della Santa Casa che nell’abitazione della Rondolini, in Borgo, nel pieno centro storico di Todi, è ben custodita e spiega meglio di tante parole la dedizione totale di Maria Pia alla causa dell’Unitalsi.

Tanti i ricordi di questi quasi settant’anni di vita unitalsiana, tanti i nomi e i volti che Maria Pia riconosce foto per foto. Tra i tanti anche quelli di suo marito Vincenzo, anche lui coinvolto nelle attività Unitalsi come barelliere, e i tanti che l’hanno sostenuta, aiutata, accompagnata nelle varie fasi, inclusa quella che la vide guidare come presidente il sodalizio di Todi dal 2000 al 2011.
Dai cassetti escono fuori una dopo l’altra le immagini di quei viaggi, un anno dopo l’altro, un decennio dopo l’altro, con la signora Rondolini sempre in prima fila, in divisa, in mezzo a gruppi numerosi nei quali la probabile stanchezza risulta sempre mascherata da ampi sorrisi.

Come furono gli inizi? “All’inizio la mia attività – racconta la Rondolini – consisteva nell’avvicinare i malati e le persone che volevano fare assistenza, dame e barellieri, personale e medici e nell’organizzare il viaggio con il “treno bianco” per andare a Loreto, visto che ancora non si poteva andare a Lourdes per via della guerra. L’impegno di quanti aderivano in questo periodo andava incontro ad un lavoro serio, impegnativo, di responsabilità ed anche faticoso.
Dopo aver avvicinato i malati e conosciuto la loro situazione veniva proposto loro il pellegrinaggio annuale e quindi impegnarsi perchè la partecipazione di questi potesse realizzarsi.
Si spiegava alle persone di conoscere le difficili condizioni economiche e ci si adoperava per sostenere le spese del viaggio stesso. La generosità di qualche persona, per chi non aveva le possibilità, ovvero la maggioranza, si riusciva a trovare sempre”.

Come ci si preparava al viaggio? “L’organizzazione era un impegno assiduo e faticoso. All’approssimarsi del pellegrinaggio era necessario verificare la disponibilità dei collaboratori e di coloro che avrebbero effettivamente partecipato allo stesso. A quel punto si iniziava a cucire, per i nuovi volontari, le divise da indossare per le Dame e le giacche per i Barellieri. Alla vigilia del pellegrinaggio diventava molto impegnativo formalizzare la partecipazione definitiva dei malati, alle prese con tutte le loro preoccupazioni. Erano giornate intense ma piene di soddisfazione per il bene che si poteva fare a quelli che chiamavano i fratelli più piccoli”.

E poi? “E poi c’era il pellegrinaggio, con il clima e la disciplina che risentivano del tenore dell’epoca: erano perciò giorni intensi di preghiera, di servizio guidato da regole ferre soprattutto nell’immediato dopoguerra. C’era sempre il senso di responsabilità verso le persone malate e più fragili ma non mancavano i momenti di allegria e di piena condivisione della vita tra volontari e ammalati”.

Quali i ricordi più belli? “Sono tanti, tantissimi. Tra i tanti, ricordo il progetto realizzato a favore del Burkina Faso, a Koudougou, città gemellata con Todi, dove fu realizzata una sala operatoria nell’ambulatorio medico e donata una carrozzina a un disabile che non camminava dalla nascita. E poi il pellegrinaggio dei cento anni dell’Unitalsi, nel 2003, quando al viaggio del treno bianco parteciparono i bambini del Centro Speranza di Fratta Todina, che hanno arricchito il viaggio con la loro contagiosa allegria”.

L’Unitalsi di Todi, come di tante altre diocesi dell’Umbria, ha avuto le sue radici nella carità, nella disponibilità di persone generose nel dedicare il proprio sacrificio alla causa dei malati. Qualche nome? “Sono tantissimi, impossibile citarli tutti, anche perchè stiamo parlando di tanti decenni. E io, alla mia età, inizio a perdere qualche colpo. Per fortuna ci sono queste foto a farmi compagnia”.

di Francesco Santucci, iltamtam.it


Pubblicato il 17 Aprile 2025