Le storie di Walter: Gianni “37”, un fenomeno in carrozzina

Disabile dalla nascita, classe 1950, si racconta insieme alla sorella e al cognato che lo assistono amorevolmente da sempre. La figura della mamma. L’ignoranza della gente. L’isolamento, l’emarginazione, le difficoltà quotidiane vinte con positività e merito. L’appoggio determinante, che in pochi conoscono, alla causa degli ascolani più fragili, di Costantino Rozzi. Intelligente, ciarliero, curioso e anche un po’ cocciuto. La radio primo ponte con il mondo

Quelli come Giovanni “Gianni” Ficerai sono più forti di tutto. Viene al mondo, nel 1950, come tanti altri bambini, ma prestissimo si scopre che qualcosa non va. Succede nel momento in cui ogni bambino taglia il primo emozionante traguardo della propria vita: quello di riuscire a camminare da solo con le proprie gambe. Non facendocela, drammaticamente, Gianni e sua madre, Giuseppina, per prima, si avviarono a tagliarne mille altri, in ben più eroiche imprese. Come vincere lo sconforto, l’isolamento, la solitudine nella battaglia quotidiana contro la disabilità, l’ignoranza della gente che ti circonda, la rassegnazione.

Nell’amore smisurato e incondizionato che fra le mura della sua casa la sua famiglia gli ha sempre riservato, Gianni ha trovato le condizioni ideali per considerarsi “normale” anche lui. E la spinta, grazie al suo carattere aperto e gioviale, positivo ed espansivo, sempre desideroso di apprendere ed entusiasta di ogni scoperta, per farsi amare anche al di fuori da quelle mura. Un cammino lungo e sofferto che raccontiamo insieme a lui, e grazie ai ricordi della sorella Luisa e del cognato Nazzareno “Neno” Cipollini, che gli sono rimasti accanto con l’affetto di sempre. Una storia che vuole servire a non dimenticare i sacrifici dei primi a battersi per i diritti di tutti quelli che verranno dopo di loro. Vale per le conquiste in ogni ambito. Vale ancora di più per le conquiste dei più fragili.

Gianni Ficerai è nato in casa, come si usava una volta, il 22 agosto 1950 a Porta Romana. I suoi genitori, Emilio, classe 1923, originario di San Vito di Valle Castellana, e Giuseppina Luzi, classe 1926, di Rosara, si sono sposati lo stesso giorno di un anno prima.

E’ il loro primogenito. Maria Luisa arriverà sette anni dopo. Abitano in via Annibal Caro a Porta Romana. Quando Gianni prova a reggersi sulle sue gambe Emilio è in fondo ad una miniera belga ad estrarre carbone. Giuseppina gli spedisce per lettera le sue foto. Ma c’è qualcosa che non va. Qualcosa di grave. Qualcosa che comincia sempre più a preoccupare. A neanche due anni Gianni entra in cura al famoso Istituto Rizzoli di Bologna. Giuseppina ci va in treno con il figlio in braccio e la sua valigetta di cartone in mano. Molte volte. Gli prescrivono inutili busti che Gianni, spirito ribelle per natura già da allora, si rifiuta di portare. Purtroppo non ci sono vie da percorrere, aspirazioni da coltivare. «Signora, è meglio che suo figlio non lo tocchi nessuno…». Una sentenza terribile.

Emilio rientra in Italia e passa dal carbone che estraeva dalle miniere del Belgio a quello che spacca all’Elettrocarbonium. I suoi polmoni ne risentiranno, ma è di Gianni che ora c’è da occuparsi. Solo di Gianni. E dei tanti problemi del suo quotidiano.

I genitori gli approntano un seggiolone di alluminio per portarlo a livello del tavolo della cucina. Lo comprano a Milano. Successivamente modificato con la sua crescita, Gianni ha continuato a sedercisi sopra fino ad oggi. Ci si è affezionato. Un altro, in vimini, viene presto abbandonato perché poco sicuro. Soprattutto quando lui si sporge troppo, curioso com’è, per arrivare a toccare, lì sotto, una fila di formichine. Fino a capottare con tutto il sedile. La curiosità, la voglia di apprendere sempre cose nuove, non lo abbandoneranno mai. Eligio, e i cuginetti Guido ed Anna, sono i suoi primi compagni di gioco a Porta Romana.

 

Gianni sarà il primo paziente a sottoporsi ad una Tac, una tomografia assiale computerizzata, appena arriva in Italia, per indagare le origini del suo male. Ma la diagnosi è chiara da tempo. Due nervi della parte sinistra del suo cervello non ci sono. Si chiama tetraparesi spastica. Una malattia neurodegenerativa che contrae progressivamente tutti i nervi del suo corpo. Deve essere assistito in tutto e per tutto. I servizi alla persona, diventati oggi con l’invecchiamento generalizzato della società contemporanea, anche un redditizio business, sono ancora tutti sulle spalle delle famiglie in questi casi. Non riuscirà mai a mangiare da solo, e quando arriva Luisa per questo motivo nasce anche un po’ di gelosia. Per di più Giuseppina deve badare anche a Domenica, l’anziana suocera che vive con loro. A Gianni viene persino impedito di frequentare la scuola. Nemmeno lo fanno iscrivere. All’inizio dell’anno scolastico 56/57 il portone della scuola elementare per lui rimane sbarrato. Uno nel suo stato non lo vogliono proprio tra i piedi.

Non ci sono leggi, ancora, che tutelano i più fragili. Ma mamma Giuseppina non si perde certo d’animo. Ritaglia le bucce di arancia e nelle lunghe giornate in casa, sul tavolo della cucina, costruisce davanti al suo Gianni tutte le lettere dell’alfabeto. Che poi, pian piano, diventano parole, e poi le frasi di un discorso. Gli fa anche da maestra lei, che una maestra vera l’ha vista solo fino alla sua seconda elementare. Ma l’amore materno riesce compiere anche di questi miracoli. Come insegnare le ore del giorno camminando tutt’intorno al tavolo. O arrivare a fargli leggere, pian piano, tutti i santi del giorno sul calendario.

Anche nella cerchia della parentela più stretta l’imbarazzo per la sua presenza è sempre palpabile. A casa di Gianni non entra più nessuno. Almeno per i suoi primi vent’anni di vita in pochissimi varcheranno quella porta per una visita di cortesia. È prassi comune, d’altronde, per tutte le famiglie con un disabile, tenerlo sempre ben chiuso in casa. Lontano dalle occhiate schifate, e al riparo dai commenti scandalizzati e malevoli, oppure pietistici e pelosi, della gente. La loro commiserazione non richiesta, ma ostentata, e quasi sempre ipocrita. I suoi famigliari saranno persino costretti ad apostrofare, seccati e offesi, quelli che si soffermano morbosamente curiosi, che gli fanno circoletto intorno, e lo fissano senza ritegno e senza parole, come fosse uno strano animale dentro la gabbia di uno zoo.

La vita sociale della sua famiglia è azzerata solo a causa di quel “coso” ingombrante, di quel figlio che nessuno vorrebbe mai avere. Il suo isolamento è generalizzato. Ma Gianni neanche oggi vuole che si usi questo termine. «Io non mi sono mai sentito solo – dice – avevo intorno a me l’affetto di tutta la mia famiglia, e questo mi ha reso sempre felice».

Quando la sorellina comincia ad andare a scuola lui l’aspetta per farsi raccontare, appena rincasa, tutto quello che ha fatto là dentro. In quello che lui continua a vedere come un pianeta affascinante, anche se gli è stato precluso. E’ curioso, come sempre, avido di apprendere, aperto a quel mondo che pure lo rifiuta. Ansioso di conoscerlo, esplorarlo. Impermeabile all’ignoranza di cui è, e forse non smetterà mai di essere, in moltissimi altri ambiti almeno, permeato. Letture, temi, dettati, problemi aritmetici, lezioni di storia e geografia. Assorbe come una spugna. Memorizza tutto. E poi, di fronte alla nonna che chiama davanti a sé, trasmette e condivide a sua volta ogni insegnamento appreso dalla sorella.

Gianni conseguirà grazie alla sua mamma, da privatista, la licenza elementare e il diploma di scuola media. Quando in sede di esame la professoressa Fabiani dopo brillante interrogazione vorrebbe congedarlo lui insiste per continuare nell’interrogazione. «No, no, andiamo avanti con le domande, io ho studiato molto di più, e so tante altre cose…». Gianni, che non è mai riuscito in vita sua a stringere fra le dita una penna, ha imparato presto ad utilizzare al meglio tutti gli strumenti che l’evoluzione tecnologica gli ha messo a disposizione. Le macchine da scrivere prima, e più tardi, quando arriveranno, i computer.

Ride divertito, ancora oggi, quando gli ricordano che da bambino non voleva mai muoversi da casa per timore di essere portato in qualche collegio. Di essere rinchiuso in qualche istituto come capitava, e capita, a tanti nel suo stato. Di essere sradicato da quella sua comfort zone, fatta principalmente di affetto puro, che rappresentava per lui la sua famiglia. E’ Ugo Palombi, disabile in carrozzina come lui, a convincerlo. Si conoscono grazie alle rispettive madri, abitanti nello stesso quartiere. Ugone, più grande di lui, ai pellegrinaggi dell’Unitalsi partecipa da sempre. Gianni chiede informazioni. Rassicurazioni soprattutto sul viaggio di ritorno a casa. Si fida di più, paradossalmente, dell’amico con cui condivide lo stato, che dei suoi famigliari che hanno cercato a lungo, invano, di convincerlo a partecipare a questi viaggi della speranza. Per farlo uscire delle quattro mura della casa, per fargli vedere un po’ di mondo, introdurlo in un movimento che alimenta e sostiene, anche, l’ultima vera speranza di un malato. La fede in Dio. Per continuare a credere in un miracolo di cui gli uomini non sono capaci. Gianni ha sette anni quando partecipa al suo primo pellegrinaggio a Loreto con l’Unitalsi.

Il primo treno bianco di una lunghissima serie. Nel 1962 partecipa al suo primo pellegrinaggio verso il santuario di Nostra Signora di Lourdes. Il cuore quasi gli scoppia di gioia e di amore. Fa comprare alla mamma una cartina geografica europea per seguire passo passo, dal finestrino, ogni paesaggio, ogni veduta e tutte le tappe del lungo viaggio verso il famoso santuario francese, facendone annotare su un quaderno tutti gli orari. Ride di gusto, all’arrivo, dei volontari scozzesi che indossano il tradizionale kilt «Gli uomini con la gonna», li definisce.

Gianni dorme nel suo lettino nella camera dei genitori dal lato dove riposa la mamma. Dipende da lei per ogni sua esigenza. Cambiare la posizione, persino grattarsi il naso se gli prude. Non riesce a comandare i suoi movimenti. Il cervello li trasmette, ma il corpo non può eseguirli. «L’unica azione che gli è sempre riuscita bene – commenta il cognato Nazzareno – è parlare continuamente. Non riesce a stare zitto». Gianni, che lo ascolta, ride divertito. È vero.

Ma è la mamma Giuseppina è il suo vero angelo custode. Da quando, nell’estate del 1960, si sono trasferiti in via Sassari, nel nuovissimo quartiere dell’INA Casa, è lei a caricarselo in braccio quando vuole scendere in strada. Cinquanta gradini a scendere e cinquanta per risalire fino al terzo piano. L’ascensore non c’è e l‘appartamento al primo piano che era stato loro assegnato dall’Istituto Autonomo Case Popolari, lo hanno trovato già occupato. “Mamma ha vissuto con lui e per lui – dice Luisa – lo ha accompagnato tutti i giorni a fare terapia al Santo Stefano, a Porta Cappuccina, fin quando ce l’ha fatta fisicamente, perché, diceva, nessun’altro poteva assisterlo meglio di lei”. E di mamma, si sa, ce n’è, per tutti, una soltanto.

Il papà ha già ingaggiato invece con le istituzioni, la battaglia senza fine contro i primi nemici di un disabile in carrozzina. Le barriere architettoniche. Don Vincenzo Luciani, parroco per molti anni dell’ospedale “Mazzoni” di Ascoli, va spesso a trovarlo a casa, in via Sassari. Anche con don Roberto Pelletti, parroco a Croce di Tolignano, Gianni legherà moltissimo, ma avranno poche occasioni per poter stare insieme. Quando nella stessa palazzina viene ad abitare la signora Cecilia, con i suoi figli, sono i primi ad affacciarsi spesso in casa per salutare Gianni. Pippo Pirri fra i primi a legare con lui, ma pian piano tutti gli abitanti del quartiere delle Tofare cominciano a conoscerlo meglio, ad avvicinarsi, a parlare. Gianni è un vulcano.

Commissiona al padre sempre cose nuove da portargli. Come tavolette con chiodini fissati simmetricamente per poter costruire con gli elastici tesi fra i chiodini figure geometriche. La condizione di emarginazione e di esclusione, che Gianni e la sua famiglia stanno faticosamente cercando di rompere, si annulla solo in occasione della sua chiamata al servizio militare obbligatorio di leva. Lo Stato, stavolta, è solerte, puntuale, inflessibile. Una commissione di medici militari gli piomba in casa per esaminare il caso di questo fellone disertore, che chissà cosa si è inventato per sottrarsi al dovere delle armi verso la Patria. «Se riuscite a farlo camminare voi – dice loro mamma Giuseppina – la più contenta sono io. Gli faremo fare più che volentieri il soldato per tutta la vita…».

La signora Chiaretti, appartenente alla famiglia degli ex titolari dell’omonima farmacia, vuole donare proprio a Gianni la radio ricetrasmittente CB (acronimo inglese Citizens’ Band) che era appartenuta ad un suo figlio prematuramente scomparso. Quella radio diventa il suo passaporto per il mondo in un anno celebrato. Il 1968.

All’inizio, al suo ascolto, qualche radioamatore si arrabbia. Gianni “37”, questo il suo nickname, non riesce ad esprimersi infatti in maniera comprensibile, e qualcuno pensa ad uno scherzo, una presa in giro. Luisa, la sorella, non ha neanche dodici anni quando si decide ad intervenire a quel microfono per spiegare la situazione, e i motivi che giustificano le difficoltà effettive che il fratello maggiore ha per esprimersi. Saranno sempre e solo i suoi famigliari, infatti, a comprenderlo perfettamente. Da quel giorno tutti i radioamatori in ascolto avranno più pazienza, gli daranno più tempo per parlare, fino a fare amicizia al punto di andare a trovarlo in casa sua. Un autentico evento. Gianni si scioglie ulteriormente, e continua ad aprirsi. Quando chiede un break per entrare nelle QSO, cioè in collegamento per una chiacchierata, si impegna maggiormente nel parlare più chiaramente, nell’esprimersi in forma più comprensibile a tutti. Uno sforzo ulteriore per lui, che migliora però così la sua comunicazione.Gianni 37 diventa un vip. Dimostra che rompere l’isolamento aiuta a vivere meglio. Che anche un disabile può dire la sua. Ne ha, per di più, il sacrosanto diritto. Di essere accettato, e rispettato, dalla comunità. Merito anche di Luisa e di Nazzareno, sempre presenti al fianco dei genitori di Gianni.

Il benefattore famoso

In quegli anni l’Ascoli sta scrivendo le pagine più eroiche della sua storia in serie A. Il presidente Costantino Rozzi viene invitato insieme alle autorità cittadine. Lui arriva in compagnia di alcuni famigliari. Scambia qualche parola, si ferma per la messa e scappa via di fretta subito dopo la benedizione.

«Eravamo già contenti che fosse venuto – ricorda Nazzareno – nonostante i suoi tanti impegni. Ma lui ritornò poco dopo insieme ad alcuni giocatori dell’Ascoli, e a una montagna di gadget da regalare a tutti gli intervenuti. Si fermò anche per il frugale pranzo, che avevamo organizzato nei locali della scuola materna, insieme ai ragazzi in carrozzina, e fraternizzò a lungo con tutti loro. Chiese dove si incontravano, dove e come passassero le loro giornate. Le risposte che sentì non gli piacquero. Così non va disse. Dobbiamo fare di più…». Costantino Rozzi non abbandonerà più i ragazzi come Gianni Ficerai.

Coinvolgerà in una occasione anche madame Simone Del Duca. Sarà sempre presente, direttamente o indirettamente, ad ogni loro iniziativa. Pochi lo sanno. Anche perché lui per primo non voleva che si sapesse. E anche da queste cose che si riconoscono i grandi uomini. Comincia ad organizzare, solo per loro e i loro accompagnatori, a sue spese, due feste all’anno. Una al Roxy di San Benedetto, e una al Miravalle di Colle San Marco. Due delle strutture più belle del suo impero. E poi ritrovi nelle sue tenute di campagna dove Gianni e gli altri disabili hanno modo di avvicinarsi anche ai cavalli. Una passione che animerà per sempre uno dei grandi amici di Gianni, Tonino Fabiani. Ma, per Costantino Rozzi, non è ancora abbastanza. Entra allora in pressing sul Comune per fare assegnare una sede idonea ai suoi fragili amici, che viene presto individuata nell’ex, ormai fatiscente e abbandonato, Villaggio del Fanciullo a Campolungo. Ma ci sono da affrontare lunghi ed onerosi lavori per la ristrutturazione e messa a norma degli ambienti.

«Non preoccupatevi per i soldi – risponde Rozzi al sindaco Cataldi già in ambasce – datemi i permessi, al resto penso io». Un tugurio cadente diventa così una sede modello in pochi mesi per Gianni e i suoi amici disabili. Tutta l’impiantistica viene rifatta completamente, scivoli ovunque, nuovi servizi igienici dedicati, tutte le porte allargate per far transitare agevolmente le carrozzine. Oltre cento milioni di lire dell’epoca, almeno, l’importo complessivo stimato dei lavori di cui Costantino Rozzi si fa completamente carico. Quando consegna le chiavi all’associazione di disabili presieduta da Gianni Ficerai si premura però che non venisse fatto il suo nome. «Mi raccomando ragazzi, che non si sappia del mio interessamento – li pregò – qui ha fatto tutto il Comune, e solo il Comune dovete ringraziare». All’inaugurazione, nel 1990, “costringe” ad intervenire per il rituale taglio del nastro niente di meno che il capo del Governo. Il presidente del consiglio Andreotti infatti, che il presidentissimo chiama al telefono, confidenzialmente, Giulio, di ritorno da Ancona sulla via del rientro a Roma, fa così tappa (“obbligata” e fuori programma) lungo la via Salaria, al Villaggio del Fanciullo.

La nuova sede apre un altro mondo a Gianni. Un mondo nuovo nel quale lui si trova perfettamente a suo agio. E’ portato naturalmente ai contatti umani. Alla socializzazione con tutti. Diventa subito presidente, il 14 ottobre 1990, dell’Associazione “Festa della vita”. Un nome che, da solo, dice già tutto. La nuova sede apre un altro mondo a Gianni. Un mondo nuovo nel quale lui si trova perfettamente a suo agio. E’ portato naturalmente ai contatti umani. Alla socializzazione con tutti. Diventa subito presidente, il 14 ottobre 1990, dell’Associazione “Festa della vita”. Un nome che, da solo, dice già tutto.

Si abitua a parlare in pubblico, a tenere discorsi, diventa una bandiera per tutto il movimento a tutela dei diritti dei disabili. Per un periodo realizza e fa stampare anche un giornalino dell’associazione. Ha realizzato i siti Internet anche dell’Unitalsi oltre che della sua onlus. Ha trascritto e rilegato personalmente una tesi di laurea. Si diletta persino a creare schemi per le parole incrociate. Insomma, Gianni è un ragazzo davvero eccezionale. Ama dire: «Non sono io ad essere diverso. Sono gli altri a farmici sentire». Oggi il Comune, con l’assessorato alle politiche sociali di Massimiliano Brugni, sempre molto presente, sostiene l’associazione, che, comunque, autofinanzia molte delle sue iniziative.

Prima Radio Ascoli poi, soprattutto, Radio Minor, dal 1982 al 1989, hanno visto Gianni Ficerai conduttore e co-conduttore di programmi di approfondimento come “Rododentro” insieme a Emilio D’Acchioli, musicali, dediche e notturni. Scrive e conduce quiz a premi come lo “Spezzatino musicale”, che fa registrare un boom di ascolti e di telefonate di partecipazione. Gianni in questa veste radiofonica riesce a migliorare di molto anche il suo linguaggio e la sua pronuncia.

La mamma, sempre lei, lo accompagna le prime volte spingendo la carrozzina in salita fino in cima a via Napoli. In seguito saranno gli amici a prelevarlo e riaccompagnarlo a casa in auto. Anche perchè l’automobile nella famiglia Ficerai è arrivata solo quando la sorella Luisa, nel 1977, ha potuto prendere la patente di guida. Lei, a bordo della sua prima Fiat 127 bianca, inizia subito a scarrozzare Gianni in lungo e in largo. Luisa sposerà Nazzareno, Neno per i tanti amici, quattro anni dopo.

La neo suocera, Giuseppina, quel giorno gli dice «Oggi non sposi solo lei. Sposi anche Gianni». Raccomandazione commossa e accorata, ma, con una persona della generosità e sensibilità di Neno, che si rivelerà superflua. Nel 1981, nel suo quartiere delle Tofare, a Gianni Ficerai viene assegnato il “Premio Umanità”. Ringrazia sottolineando «…che è un punto di partenza, e non di arrivo, verso una maggiore comprensione, responsabilità e impegno verso gli altri…». Nel 1985 Gianni entra nel gruppo cristiano di coordinamento del volontariato ospedaliero P.C.O. Lui, da portatore di handicap, che va in aiuto ai “sani”. Scrivono di lui gli altri volontari «…è un ragazzo meraviglioso, ma non sa di esserlo…». La rivista “Sprazzi di luce” delle suore ospedaliere del Sacro Cuore di Gesù ospita la testimonianza che gli dedica la sorella al termine di un corso di cristianità che lui frequenta «…tu che vivi la tua vita attimo per attimo senza mai arrenderti, ma sorridendo sempre…». Gianni perora la causa dei diritti dei diversamente abili parlandone in terza persona, come se non facesse parte della categoria anche lui.

A Lourdes non invoca il miracolo della guarigione per sé stesso, ma prega affinché un suo amico possa accettare la sua disabilità. Dal 2011 Gianni ha una auto modificata solo per i suoi frequenti spostamenti. È una Kangoo. Da quattro anni si occupa di lui Sandra. Ha preso il posto di Mirella, rumena anche lei, che con lui ha vissuto per un decennio. I suoi due nuovi angeli custodi.

La mamma è volata in cielo infatti nel 2015. Gianni ne ha sofferto molto, metabolizzando però la dolorosa perdita in composto silenzio. Il papà l’aveva preceduta nel 2012. Entrambi a 89 anni.

Nel 2018 ha passato un brutto momento a causa di un problema respiratorio che ha imposto, infine, una tracheotomia permanente. È rimasto tre settimane isolato in Rianimazione, sospeso fra la vita e la morte. I medici lo avevano dato subito per spacciato, invece, nonostante tutti i suoi problemi, ce l’ha fatta ad uscirne vivo. Non solo. A casa sua, pian piano, è riuscito a fare tutto quello che i medici avevano categoricamente escluso. Come riuscire a respirare, almeno di giorno, autonomamente, senza l’ausilio di una macchina. O tornare ad inghiottire alimenti solidi. Oggi mangia di tutto, soprattutto i manicaretti di cui è ghiotto, che gli prepara Sandra. Gli ci sono voluti mesi per riprendersi completamente. Senza smettere mai di sorridere. Ve lo abbiamo detto subito che Gianni è un fenomeno. E il suo motto non è mai cambiato. È rimasto sempre lo stesso. “La vita è bella”.

 

di Walter Luzi, lapoliticalocale.it


Pubblicato il 19 Novembre 2024